Tra i i lavori svolti durante la lunga estate calda, segnaliamo la nuova immagine Cipollini (Campagna pubblicitaria, Catalogo, Video Bond2, Video AllRoad, Collezione) e la nuova immagine Upstream (Libro-catalogo, Campagna pubblicitaria).
1) Albert-László Barabási, scienziato ungherese, ha teorizzato i principi scientifici e le regole (non dette) che stanno alla base del successo. Alla fine del suo approfondito percorso logico-razionale afferma che fama, gloria, celebrità, hanno subìto in questi anni una mutazione genetica, favorite con sempre maggior frequenza dalla stupidità. Il “mezzo” che ha reso possibile questa mutazione genetica è la rete - in particolare i tanto amati social, la sentina di ogni stupidità umana.
2) Roberto Casati tratta di competenze legate alla politica. Si augura anzitutto di essere governato da qualcuno molto più bravo, competente, organizzato e lungimirante di lui, per lo meno in quel determinato settore - così come non vorrebbe essere operato da un chirurgo meno bravo di lui a maneggiare il bisturi. Continua affermando che se tali presupposti sono considerati condivisibili, dobbiamo ammettere che le tanto bistrattate élites servono, eccome. Prosegue analizzando a come selezionarle, queste élites designate a governarci, indicando tre sole possibilità:
-la selezione darwiniana: eleggendo a caso qualcuno e vedendo come se la cava. Se manda il paese a rotoli si passa al successivo: prima o poi qualcuno in gamba lo si trova. Evidentemente questa soluzione prevede altissimi rischi, oltre a costi senz’altro onerosi.
-la gavetta: sottoponiamo gli eleggibili a una lunga esperienza nei partiti, perché accumulino competenze sul campo. In questo caso siamo nelle mani di un apparato politico che si perpetua, con i relativi rischi e costi, non indifferenti.
-la formazione: creiamo dei percorsi di studio di alto livello cercando nel vivaio i più bravi. Ogni tanto ci si potrà sbagliare, ma normalmente saremo in grado di gestire rischi e costi contenuti, perfino pianificabili.
3) Massimo Firpo mette in evidenza la deriva autoritaria di molte presunte democrazie, in grado di manipolare largamente il consenso di massa per infrangere le regole che costituiscono l’anima stessa della democrazia. Domina la suprema istanza della volontà popolare a cui si attribuisce il diritto di scagliarsi contro ogni élites, ridicolizzate come frutto parassitario del privilegio sociale e dell’arroganza culturale, facendo così riemergere pulsioni autoritarie intorno a leader più o meno carismatici.
Trovo questi tre momenti intimamente connessi. A farne una sintesi generativa (da dove nasce tutto questo?) ci pensa un libro che di recente ha colpito la mia attenzione, segnalato dallo stesso Firpo: “Che storia è questa. Gli adulti e il passato”, indagine sulla conoscenza della storia da parte degli adulti italiani, strutturato intorno a interviste organizzate sulla base di un questionario volto ad accertare le competenze storiche di un campione articolato in differenti fasce d’età (da 20-29, fino a oltre 79) con diversi titoli di studio, ricco di un cospicuo numero di laureati. Ne esce un quadro di un’ignoranza sconcertante anche sui temi più prossimi all’oggi. Più che risposte a quesiti, molte sembrano barzellette (il Rinascimento che coincide con la Belle Époque , le leggi razziali del ’38 emanate contro i musulmani, la II Guerra mondiale in cui l’Italia figura tra i vincitori e la Russia tra i vinti…), ma al di là delle innumerevoli baggianate, il dato più significativo è che la fascia d’età più analfabeta in campo storico è quella più giovane, dunque la più vicina alle memorie scolastiche (per giunta dotati di laurea magistrale in discipline umanistiche!). È francamente difficile da credere che studenti universitari e laureati datino l’unità d’Italia al 1601 o al 1950, eppure è precisamente ciò che risulta appena si abbia il coraggio di grattare la superficie del “pezzo di carta” - che non si può più negare a nessuno. E con ciò è ancor meglio delineato il problema dell’analfabetismo di ritorno, che diventa perfino improprio definire “di ritorno”, se anche i laureati esercitano identico analfabetismo degli analfabeti.
La storia è il sapere più vicino alla politica, se non proprio costitutivo della politica, fin da quando Tucidide rifletteva sullo scontro tra Sparta e Atene e Machiavelli scriveva Il Principe dopo essersi immerso nella lettura degli antichi. Non occorre nemmeno rifarsi al più grande dei preveggenti, Giacomo Leopardi, che sconfessando l’epoca dei lumi e lo scientismo imperante esortava con forza a guardare al passato, ricordando che senza il passato non c’è futuro (“il passato è capace di fornire una anamnesi del presente e perciò una terapia per il futuro”).
Con ciò il discorso ritorna al punto numero 2, alle élites e alla selezione di un ceto politico in grado di affrontare i problemi generali con competenza e consapevolezza della loro complessità: senza un percorso formativo serio non avremo mai più speranza di poter allevare futuri rappresentanti migliori del popolo che dovrebbero rappresentare. Un popolo che nel suo insieme è stupido, si trova costretto, volente o nolente, a esaltare, e a portare al successo, degli stupidi almeno quanto loro. Non foss’altro per un naturale, primario, e paradossalmente darwiniano principio di sopravvivenza. Oserei dire di “identificazione”, visti i tempi.
25/09/2019 Filippo Maglione