Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per offrire una migliore esperienza. Chiudendo questo banner o continuando la navigazione acconsenti all’uso dei cookie. Per saperne di più leggi la nostra Privacy Policy.
Hai accettato l'utilizzo dei cookies da parte di questo sito

Grafica e comunicazione


Questi ultimi, per Helvetika, sono stati mesi di silenzioso e incessante lavoro. Il silenzio, il lungo intervallo di tempo intercorso tra l’ultima Istantanea e questa, è dovuto sia al grado d’impegno cui ci hanno sottoposto i nostri clienti (che non smetteremo mai di ringraziare per la fiducia, e per la stima, che ci dimostrano ogni giorno), sia alla consapevolezza maturata d’un tratto alcuni mesi or sono grazie a una, in fondo banale, osservazione di un nostro collaboratore: “Oggi chiunque mostra sé stesso sul web, quasi sempre in maniera sfrontata, smisurata”. Non credo che il collaboratore pensasse a noi, almeno lo spero, ma nondimeno mi sono sentito colpito da quell’iperbolico dato di fatto, che però fin lì mi era sfuggito, non frequentando blog e social network (in Helvetica, per fortuna, altri si occupano di queste amenità). Perciò mi ero imposto il silenzio perpetuo: non è certo nostro obiettivo “essere come chiunque”. Passi il “mostrare sé stessi”, ma “come chiunque” giammai! 

Finché, la settimana scorsa, un altro collega mi ha avvertito che il lungo silenzio dopo tanto rumore, all’esterno era recepito solo come un banale indizio di crisi, non certo come un nobile virtuosismo. Perciò, siccome l’amor proprio è il più grande degli adulatori, mi sono convinto a riannodare il filo delle Istantanee con questa, che nella cospicua lista di alcuni dei lavori svolti nei mesi passati (che rimanda al Portfolioè proprio una dimostrazione flagrante di quell’amor proprio di cui sopra. Qui sotto segue la vera Istantanea (questo paragrafo ne è il cappello), assai concisa e anch’essa marchiata dallo stesso vizio (è proprio vero, allora, che la vecchiaia rende vanitosi).

 

Pubblicitario, ma anche grafico

Spesso mi è capitato di veder citare il nostro mestiere in modo spregiativo, soprattutto leggendo articoli e saggi molto ben argomentati sull’andazzo di una società votata sempre più all’apparire e all’effimero e perciò all’avere piuttosto che all’essere. Ogni volta penso che è vero: il mestiere di pubblicitario deve per forza non solo misurarsi, ma in qualche modo incentivare e indirizzare l’apparire e l’effimero (cavalcando o addirittura creando le mode), e rivolgersi all’avere, piuttosto che all’essere, avendo come obiettivo principale spingere più gente possibile a nutrire continui desideri d’acquisto. Così finisco per pensare con disprezzo a questo sporco e odiosissimo mestiere, essendo la mia più intima natura rivolta, al contrario, alla ricerca, piena di dubbi, di un senso dello stare a questo mondo, e a una maniera non banale per affrontalo con dignità.

Poi, ogni volta, mi fermo e penso: ma, accidenti, io sono pubblicitario! Poco importa che la qualifica completa sia anticipata da un più nobile sostantivo, che in questo caso assume l’aspetto anche di attributo: grafico (s. m. Artista, tecnico o professionista che si occupa dell’impaginazione di un’opera editoriale o multimediale, della composizione e disposizione sulla pagina di disegni e testi pubblicitarî, dell’aspetto esteriore con cui l’opera si presenta). Poco importa, è vero, perché il disagio resta, pur attutito. Un’attenuazione che mi permette, bene o male, di tirare un sospiro di sollievo e di procedere oltre.

Spesso mi sono chiesto in cosa consista l’essenza di quella particella (grafico), e perché la senta nobilitante nei confronti della particella che la affianca (pubblicitario). Credo di aver capito che il valore dipenda proprio dal suo contrapporsi all’altro termine, generando una sorta di ossimoro.

Perché la grafica si rivolge alla bellezza tramite un rigore che, pur non disconoscendo i valori emotivi, è retto da regole ben precise, matematiche; è quindi una misura governata dal numero, come la musica, che segna lo spazio (la pagina) e il tempo (il ritmo dei segni) generando impressioni di armonia visuale che, a volte, nei casi più fortunati, risultano quali forme di equilibrio, di permanenza, di durata, oltre che consonanti al proprio intimo essere - come se la pagina perfettamente compiuta risuonasse nelle nostre menti di artefici o fruitori, generando una serena, e magica, sospensione del tempo. L’esatto contrario di tutto ciò che può dirsi “pubblicitario”.

17/11/2016 Filippo Maglione