Di recente, a una riunione con un nuovo potenziale cliente, discutendo di come sia possibile caratterizzare a livello d’immagine un marchio con pretese di durata nel tempo, mi è capitato di ripensare a come, in questi anni, ci stiamo rapportando alle mode, ovvero a tutte quelle sollecitazioni dette anche tendenze.
A proposito di queste parole, tendenza e moda. Ho sempre trovato offensive le classiche presentazioni delle collezioni stagionali, in cui veniamo resi edotti in merito ai colori che altri hanno scelto per noi (“i colori-moda per il prossimo autunno saranno...”.), e che in detto lasso di tempo dovranno per forza piacerci, non foss’altro perché ce li ritroveremo ovunque tra i piedi.
Le tendenze si possono dividere in macro aree, capaci di abitare diversi mondi e di rinnovare la propria percezione presso il pubblico con grande plasticità (plasticità in senso illusorio, intesa come capacità di ricreare un effetto di rilievo che in pratica non esiste) e con velocità rigenerativa spesso frenetica. Oggi seguire le tendenze è materialmente impossibile, per cui dal nostro piccolo e limitato osservatorio ci riserviamo di sondare di volta in volta, senza mai sposarle acriticamente, quelle che maggiormente investono i nostri settori merceologici di riferimento. Con serietà mista a scetticismo.
Di recente, per un nuovo cliente del settore design, abbiamo dovuto studiare i colori-moda, ovvero le tendenze cromatiche per il prossimo anno (2016) nel mondo dell’arredo casa. Contemporaneamente, per un nostro storico cliente, abbiamo studiato i colori-moda per il mondo dello sport. Una certa concordanza tra i due mondi esiste, per esempio nell’attenuazione dei toni. Attenuazione che viene però motivata concettualmente (per così dire) e che invece è semplicemente frutto del banale e sempre valido principio dell’alternanza, per cui a colori eccessivi seguono per forza colori più moderati. Nulla di nuovo, beninteso, e nulla di così restrittivo. Resta però netta la sensazione di una forzatura un tantino imbarazzante. Il tutto non viene nemmeno presentato come una imposizione ma semplicemente come un naturale dato di fatto. Questi sono i colori, chiuso.
Parlando sul serio di futuro. Un paio d’anni fa ho avuto il piacere di partecipare a un convegno organizzato da Whirlpool a Parigi in un vero e proprio “laboratorio di ricerca delle future tendenze”. Qui si parla di una struttura, tra le più stimate al mondo, capace di predire i prossimi dieci anni in ordine non solo ai colori, ma ai materiali, alle modalità d’uso dei prodotti, alle inclinazioni di occupazione degli spazi lavorativi, del tempo libero. Colpisce la serietà e profondità di tali ricerche, a cui ho avuto un accesso parziale, pur probante. È perturbante assistere a una scena in cui una persona seria e affidabile, ma forte di poteri divinatori, ti sfoglia sotto il naso un enorme catalogo con elencato "tutto ciò da cui gli uomini e le donne saranno attratti” tra un lustro o due. Ricordo però che nella scheda introduttiva al loro lavoro alcuni presupposti politico-sociali (sul peso dell’espansione russo-cinese, per esempio, sui tempi della crisi europea e di quella statunitense, sui tempi di recupero del Sudamerica...) stanno venendo a mancare, o quantomeno non si sono (o non si stanno) realizzando secondo tempi e portata previsti. Per cui, evidentemente, nel frattempo avranno dovuto aggiornare quella previsione, che subito dopo dovrà essere aggiornata in merito ad altri eventi previsti e non avvenuti, o viceversa, eccetera eccetera.
Tornando al presente. Tutto questo mi ha riportato alla celebre lezione di Braudel sulla differenziata velocità del movimento storico, che distingue le “increspature superficiali”, quelle da noi immediatamente percepite nel quotidiano (i fatti del giorno, per così dire) dai “movimenti storici più lenti e profondi”, non facilmente percepibili, che danno però copiosi frutti nel tempo, quali le trasformazioni economiche, dei modi di produzione, del sentire e delle sensibilità delle masse, delle rivoluzioni scientifiche, culturali.
Facendo un forzoso (ma nemmeno poi tanto) parallelo tra il criterio di lettura della storia di Braudel e il nostro criterio professionale di lettura delle dinamiche stilistiche, paragonerei le “increspature superficiali” alle cosiddette tendenze-moda. Qualcosa che agisce nell’immediato e che a noi appare come la nostra storia, la nostra vita, ma che invece è solo un rapinoso movimento rapido e incessante che ci attira nelle sue suadenti spire, totalmente di superficie, perciò effimero. Una sorta di smemorata imposizione acriticamente subìta.
Invece quei “movimenti storici più lenti e profondi” nel mio mestiere li traduco nell’attenzione verso la storia del pensiero, dell’arte, della cultura, della civiltà, dell’eleganza. Una storia sociale che forma una trama radicale lentamente ritmata, rimeditata e riformulata di continuo, senza imposizioni di sorta.
Nello sviluppo di una nuova immagine aziendale o di prodotto non ho tanto il desiderio di rivolgermi alle riviste di grafica contemporanea, ai trattati e alla manualistica della comunicazione visiva, quanto al mondo dell’arte che, pur con tutte le sue storture e aberrazioni, è capace di raccontare il mondo per ciò che è stato e per ciò che diventerà, piuttosto che illustrare il mondo per ciò che è. Per sperare che un progetto abbia una sua durata, che perciò non appaia vecchio in brevissimo tempo, ho bisogno quindi di garantirmi una certa misura e distanza nei confronti della contingenza, dei fatti del giorno, delle “increspature superficiali”. La moda, come sappiamo, muore giovane, e chi sposa lo spirito del tempo resta presto vedovo; la nostra presunzione è invece quella della durata: che i nostri lavori, nei limiti del possibile, resistano nel tempo. Plausibile o utopistica che sia, la ritengo la migliore delle presunzioni.
Ho anche bisogno di darmi un contegno a livello grafico e di contenuti. E devo impormelo a forza, il contegno, perché non è più una cosa di questo mondo, non va più di moda, spodestato da tempo da un’estetica della dismisura che ha fatto dell’esibizione la sua bandiera e della speculazione il suo unico credo.
20/01/2015 Filippo Maglione