Quest’anno ho molto penato nel rintracciare il tema d’apertura del corso che da tre anni conduco presso l’Esac di Vicenza, attorno agli argomenti dell’arte e dell’estetica. Sentivo la necessità di un colpo ad effetto, capace di destare attenzione e interesse, però anche di fissare i punti cardine non solo di un’attività, l’arte, ma proprio di una civiltà, la nostra.
Non mi pareva impresa facile perché, introducendo un argomento nuovo e complesso a studenti con livelli di formazione disomogenei, trovavo indispensabile riferirmi a qualcosa di semplice, in cui tutti potessero bene o male riconoscersi, che quindi concernesse la vita di tutti.
Alla fine, scartabellando i block notes che da anni annoto e raccolgo, mi sono ispirato ad alcuni testi che avevo ripreso, messo insieme e riscritto, senza citare la fonte. All’inizio l’omissione delle fonti mi è spiaciuta: di norma le riporto, essendo forte la gratitudine verso i maestri. Poi però ho pensato che, data l’universalità del tema, l’indistinzione potesse essere addirittura giovevole: citando una fonte avrei rischiato di relegare questo pensiero a una delle innumerevoli opinioni (doxa) che popolano il mondo. Così com’è, quasi calato dall’alto, nella sua perfetta forma tripartita, può assumere invece i tratti di una verità (alétheia) a fondamento di un sistema inconfutabile (epistème). Forse oggi sento di aver bisogno anche di questo, di qualcosa d’incontestabile, dato che da creativo di professione sono costretto a vivere perennemente sul crinale dell’opinione, dell’incerto, del giudizio, del conflitto, della krisis (la creatività è una forma di precarietà e disobbedienza).
“L’uomo delle caverne superò la sua condizione di bruto quando offrì la prima ghirlanda alla sua fanciulla. Elevandosi al di sopra dei bisogni naturali e primitivi, introducendo una forma simbolica, egli si fece umano.
Così, quando intuì l’uso che poteva fare dell’inutile, l’uomo fece anche il suo ingresso nel mondo dell’arte. Il passaggio dalla feritas all’humanitas avvenne proprio nella scoperta e nell’uso del simbolo, quindi dell’arte, cioè dell’amore, vale a dire del gratuito, del dono, dell’inutile, che rende però la vita buona e bella.
Tuttavia in agguato ci sono sempre il calcolo, il possesso, l’interesse, che spengono la bellezza e la bontà, oltre che la libertà. Facendo il conto della ghirlanda la si fa appassire.”
Questo pensiero, questa ghirlanda donata ai miei allievi all’inizio del corso, la voglio donare ora, alla fine dell’anno, a chi ha avuto la bontà di seguirmi sin qui. È un pensiero che sottende un augurio, gratuito e sincero.
18/12/2015 Filippo Maglione