Tutto è nato dal disegno stilizzato di un argenteo salmone luminoso che risale con fierezza la corrente popolata da una sterminata schiera di opachi e ordinari salmoni inermi, in balia della stessa. Dal disegno siamo arrivati al nome, purtroppo in inglese (una triste necessità, rivolgendoci a un mercato internazionale e non essendo francesi). Così è nata l'immagine di Upstream (Controcorrente), il fenomenale salmone di Claudio Cerati, una delle tante startup di quest'anno, probabilmente la più gustosa, visto che abbiamo avuto l'onore di contribuire al progetto anche nelle vesti di tester (e testare prodotti d'eccellenza è un duro lavoro che qualcuno deve pur fare...).
Nello stesso periodo è nata la campagna pubblicitaria EssereAlé, dedicata alle nuove linee di abbigliamento per ciclisti. L'idea di partenza è stata giocata anch'essa sul tema della contrapposizione, del forte contrasto. Anche se a guardarle appaiate pare non ci sia alcun nesso, entrambe sono germinate dal medesimo nucleo di pensiero. Qui il contrasto è reso graficamente, tramite il taglio giallo trasversale, ma anche dalla direzione dell'atleta, ad uscir di pagina, di spalle. Un "andare oltre" che sottende appunto un forte e perentorio andare "controcorrente".
Questa sommaria spiegazione del punto di partenza omologo di due lavori affatto diversi aiuta, credo, a inquadrare una delle specificità del creativo di professione: riuscire a definire messaggi stilisticamente diversi e (almeno un tantino) originali, partendo dalle poche basi a disposizione. Perché le basi di partenza sarebbero poche? Perché in fondo si tratta di dare valore a un prodotto, quindi di parlarne bene "senza essere triti, melensi e banali". E parlar bene di qualcosa, di qualsiasi cosa o di qualcuno, senza essere triti, melensi e banali... non è poi così facile.
La preferenza per l'andar controcorrente ha comunque radici profonde e facilmente rintracciabili. Tra le molte, quattro vicende artistiche di segno diverso ma ugualmente decisive risaltano alla memoria, saldate al tema. La prima rimanda al Giornale nuovo, frequentato sin dal 1974, anno di fondazione della testata. Quasi ogni giorno mio padre sottoponeva alla mia attenzione di decenne, sottolineandole a penna, le parti salienti degli articoli firmati da Indro Montanelli. Soprattutto i suoi brevi, lapidari corsivi - i celeberrimi "Controcorrente" - piccoli capolavori d'arguzia se non proprio d'intelligenza, hanno scandito e condizionato la crescita durante il passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Le consideravo lezioni quotidiane di un vecchio maestro burbero ma anche bonario e simpatico, capace di aprire squarci imprevisti in mondi altrimenti illeggibili, fumosi, banali, noiosi.
L'altra vicenda è legata al libro "Controcorrente" di Joris Karl Huysmans (in originale "A rebours"), letto e assimilato nella tarda adolescenza, durante gli anni di studio legati all'arte. Il rifiuto nei confronti delle frivolezze della vita mondana e il rinchiudersi in un mondo solitario, artificiale e fuori dal tempo del protagonista, Des Esseintes, non erano - e non sono - estranei ai miei modi eccentrici, estetico-decadenti e un tantino disarticolati dalla realtà (sociale).
La terza vicenda è legata non tanto a un singolo libro, quanto all'opera tutta di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, e perciò di tutti i tempi, l'austriaco Thomas Bernhard. Dalla sua scoperta, dalla scoperta del suo originalissimo modo di dirigersi controcorrente, ovvero "nella direzione opposta", ho rimodulato, direi anche pericolosamente, il mio modo di vedere il mondo. Bernhard spinge costantemente ad andare con lui nella direzione opposta, quasi fosse un Virgilio postmoderno scettico e anarchico, lasciandoci alle spalle i luoghi comuni, ma soprattutto annullando l'opposizione fra tragedia e commedia, fra distruttivo e costruttivo, fra vero e falso. Ogni pagina bernhardiana è insieme devastazione e ricostruzione, tragica e al contempo comica, e si svolge sempre nella direzione opposta a quella della nostra routine. Ci avvisa con sagacia e ghigno sardonico che le nostre azioni, tutte, perfino la più tragica, la morte, si compiono in un teatro (il mondo) infilzabile da parte a parte dalla comicità; un mondo, un teatro, perciò risibile.
Il correlato visivo di questo andare controcorrente è stato il capolavoro di Buñuel, Il fantasma della libertà, apoteosi filmica del sovvertimento clamoroso dei codici e dei rituali, del rovesciamento di senso teso a disorientare, a turbare. Rovesciamento di senso che se assimilato rischia d'illuminare sin troppo bene la natura inautentica degli stessi codici e rituali che sovrastrutturano le nostre vite, spesso inconsapevolmente, quasi sempre inesorabilmente.
Un mestiere che riesce a riallacciare reminiscenze così complesse, diverse e profonde, e a fonderle infine in una elegante scatola contenente un pesce o in una evocativa pagina di rivista sportiva, credo che alla lunga possa generare una debole forma di dissociazione, "con l'effetto della distorsione dei normali nessi associativi e conseguente incongruenza tra idee e risonanza emotiva, tra contenuto di pensiero e comportamento" (Umberto Galimberti). Ma forse anche per questa flebile dissociazione dalla realtà, pur con gli indubbi disagi che essa provoca nella sfera delle relazioni, credo sia davvero un mestiere che meriti d'essere vissuto pienamente, magari sforzandosi di andare, ogni volta che si presenti l'occasione, "nella opposta direzione".
13/11/2013 Filippo Maglione