Nel Portfolio presentiamo la Relazione relativa all'immagine istituzionale e pubblicitaria realizzata recentemente per Body Innovation, startup di un franchising nel settore Centri estetico-medicali.
“Piú invecchio piú mi rendo conto di come sia difficile per le persone comprendersi reciprocamente; secondo me ció che ci trae in inganno è il fatto che sembriamo tutti tanto simili l’uno all’altro. Se alcuni avessero l’aspetto di un elefante e altri di un gatto, o di un pesce, non ci aspetteremmo di capirci a vicenda e le cose apparirebbero molto piú simili a ciò che sono in realtà”.
È un’acuminata riflessione di Ludwig Wittgenstein, tratta da una lettera inviata all’economista napoletano Piero Sraffa, con cui intrattenne un rapporto duraturo e fecondo a livello professionale ma minato da conflitti generati da un fortissimo dissenso intellettuale e dalla mancanza di vera comprensione reciproca. Un rapporto che comunque si è rivelato fertile grazie allo sforzo sincero e all’intelligenza (dialettica) dei due interlocutori.
Molta, troppa parte dell’umanità non riesce invece a gestire il dissenso altrui e il conflitto che ne deriva. E non sa cosa si perde. Il problema è che il dissenso attorno a una nostra idea o convinzione viene spesso ‘personalizzato’, visto perciò come una sorta di affronto personale, che si tramuta a volte in una rabbia che obnubila il cervello e che nei casi peggiori diventa poi rancore e infine prevenzione - nei confronti di chi osó quella volta contraddirci. Il dissenso è qualcosa che scava nel profondo, arrivando ad assumere le sembianze di un rifiuto della nostra stessa persona, anche quando magari tale dissenso riguarda solo una certa frazione del nostro pensiero o una parte di una nostra idea. Quando invece quel dissenso, magari, era una notazione che inserita debitamente e con furbizia all’interno del nostro discorso o della nostra idea o convinzione, sarebbe riuscita a farli progredire in maniera decisiva, e senza affatto smentirli! Un dissenso intelligente puó essere infatti la scintilla che fa brillare e colmare di senso quello che da noi era già stato ritenuto sufficiente e che invece mancava proprio di un detonatore. Un rimedio, un corroborante insomma, scambiato per arsenico, in virtú di un ego non tenuto a bada.
E allora perché tutta questa difficoltà ad accettare il contenzioso aperto, il conflitto, perdendo cosí innumerevoli possibilità di crescita? Quali le vere cause profonde della ‘personalizzazione ad absurdum’ con cui molta umanità strumentalizza e azzera le critiche a lei rivolte, anche le sacrosante? Credo che tutto nasca da un timore recondito: l’insicurezza di sé, che per contrasto molto spesso si traduce verso l’esterno in un atteggiamento simile al suo contrario, fatto di boria e sicumera. Se invece siamo discretamente sicuri del nostro reale valore, e non ce ne vergogniamo, se avremo ancorato noi stessi ad alcune fondamentali certezze sostanziali, accoglieremo con buona pace tutto ciò che di intelligente ci proviene dall’esterno, soprattutto i dissensi, appunto - anche perché razionalmente convinti che siano gli unici capaci di far crescere il nostro lavoro, addirittura la nostra persona. Ma quanto c’è di veramente intelligente provieniente dall’esterno? Come riconoscerlo, come accoglierlo con la relativa certezza di aumentare la nostra potenzialità invece di ridimensionarla? Qui sta la seconda parte del problema. E qui credo entri in gioco l’esperienza.
Parlo della mia esperienza solo perché l’unica che conosco veracemente, nel tentativo di delucidare al meglio il problema. Producendo idee, che credo e spero originali, mi trovo coinvolto con una certa regolarità nella gestione di dissensi altrui: dalle persone che coinvolgo nei test precedenti la presentazione dei lavori ai clienti, ai clienti stessi (lascio da parte qui il pubblico finale, protagonista di analisi di tipo diverso). Spesso si tratta di dissensi minimi, che non intaccano in nulla le idee concettuali ed estetiche che si erano partorite; questi dissensi sono sempre stati facili da gestire con serenità, evidentemente. A volte si tratta invece di interventi piú radicali. E qui cominciano i probemi. Da giovane una critica negativa riusciva a mettermi in crisi senza la capacità di discernere il dissenso condivisibile da quello apertamente strumentale o addirittura futile, palesemente fuori luogo. Ne derivavano situazioni di compromesso che minavano alla radice la bontà del lavoro, riuscendo a opacizzare lo stile e diluirne il senso. Non ho mai mancato di farmi mettere in crisi dai dissensi, quindi, ma per un certo periodo della carriera non ho saputo valutarli debitamente.
Oggi credo invece d’aver maturato un barlume di capacità critica che mi fa accogliere con prontezza e con piacere osservazioni intelligenti, congrue, attente, competenti. Con piacere perché con il mio lavoro non ho (piú) la pretesa di affermare me stesso nel mondo, e perció smaniare per il consenso universale (desiderio babbeo, ampiamente superato da tempo) ma ‘solo’ di riuscire a dar vita a lavori di cui esser fiero come coautore (nel nostro lavoro si tratta infatti sempre di un lavoro d’equipe). In questo senso mi è capitato anche di recente d’accogliere eccellenti appunti da clienti illuminati (sí, esistono), generati da parziali dissensi attorno a porzioni di mie proposte creative. È una grande soddisfazione veder crescere bene, in equipe di alto livello, un lavoro di cui si è artefici, vederlo crescere anche al di là della nostra stessa prospettiva, grazie a interventi congrui che ne migliorano l’aspetto e il significato.
D’altro canto, al contrario d’un tempo, riesco a riconoscere i dissensi futili, o pretestuosi o palesemente sbagliati, con una certa facilità e prontezza. Purtroppo a volte ci s’imbatte in critiche dettate da ignoranza o, peggio, prevenzione. E a differenza d’un tempo non mi sforzo piú di mediare le posizioni e perció di contaminare e disperdere la bontà di un lavoro rendendolo insufficiente o addirittura ridicolo a forza di correzioni e corruzioni. No, oggi lotto strenuamente con le armi dialettiche per imporre la forza della ragione, quindi sfoderando motivi logici a difesa della miglior soluzione possibile. Ma è davvero bizzarro constatare come per troppe persone le forme e le espressioni della logica, e relativa dialettica, siano viste come armi improprie, strumenti sovversivi puntati contro la dignità di chi non riesce ad afferrarle come tali.
Credo che molto di questa incapacità derivi proprio da un insufficiente allenamento giovanile alla dialettica, l’arte stessa della crescita intelligente tramite la ragione, quel terreno in cui viene naturale guardare ai problemi partendo con il formulare la piú facile delle ipotesi (tesi), che peró nello scontro del reale deve venir superata andando al di là dei luoghi comuni per portare con la sua antitesi alla giustificazione razionale di elementi che all’inizio apparivano contraddittori, per la redazione infine di una sintesi che non lasci nulla d’intentato. La ragione che incalza i fatti, insomma. È un tragitto dinamico che presuppone una certa umiltà e il coraggio di mettere sulla graticola anche le nostre idee e convinzioni, alla pari di quelle degli altri. Umiltà e coraggio che permettono di entrare in conflitto con chicchessia, simpatico o antipatico, con onestà e correttezza per un bene comune (nel mio caso il miglior lavoro grafico-pubblicitario possibile).
In definitiva, lavorare a un certo livello senza mai generare dissensi, anche mordaci, non mi sembra possibile. L’assenza di conflitto all’interno di staff professionali in piena azione (pergiunta creativa) presuppone o scarso carattere degli attori, o disinteresse nei confronti dell’esito, o esclusivo interesse al denaro, o strutture cristallizzate in gerarchie severe e castranti. Tutti questi presupposti non sono forieri d’esiti lusinghieri in termini di qualità.
E questa ultima affermazione perentoria pare formulata proprio per non accettare qualsivoglia dissenso.
11/10/2012 Filippo Maglione